La supervisione esperienziale di gruppo in psicoterapia psicoanalitica
Introduzione: La nostra storia
Un giorno di Dicembre del 2020, come accade di consueto tra colleghi, ci siamo trovati a parlare dei pazienti e del nostro lavoro in corridoio, di corsa, con quel piacere di condividere passioni e preoccupazioni e con quella sensazione di rammarico che il tempo per trovarsi, pur necessario, sia sempre troppo poco. In queste casuali occasioni abbiamo constatato quanto nel corso del tempo ognuno di noi, seguendo le proprie inclinazioni ed interessi, avesse nei fatti apportato integrazioni e modifiche alla propria pratica clinica. Da quei dialoghi estemporanei, dagli scambi di consigli e punti di vista, è nata un’esigenza comune di creare e condividere un tempo e uno spazio più strutturato.
Si è formato in quel momento un gruppo di lavoro composto da Psicoterapeuti del Centro Studi Martha Harris della Lunigiana che decide di sviluppare un’esperienza pilota di Intervisione settimanale. Già nei primi incontri, che avvenivano per una scelta precisa e dichiarata, quella di creare per noi un clima di apertura, condivisione e sostegno reciproco, si è sentita la necessità di creare il ruolo di moderatore. Il moderatore, poteva essere svolto da uno o due persone che avevano lo scopo di agevolare il funzionamento gruppale e proteggere l’esperienza di chi presenta il caso. Limitare gli interventi quando questi toglievano spazio a chi presenta o quando le dinamiche del gruppo assumevano caratteristiche superegoiche che minavano il clima di sicurezza che era stata la base sulla quale avevamo scelto di fondare questi incontri.
Nel corso del tempo, fino alla versione attuale che presentiamo, ci sono stati nuovi accomodamenti: abbiamo aggiunto il termine Esperienziale, perché esso caratterizzava una parte di quello che stavamo facendo e per ultimo il passaggio dal termine Intervisione a Supervisione, quest’ultimo passaggio per mettere l’accento più sul tipo di esperienza proposta ed evitare alcune dinamiche gruppali che possono verificarsi e tolgono tempo all’incontro. In 2 anni di lavoro abbiamo affinato la metodologia, raccolto una sufficiente quantità di esperienze e dati che ci hanno portato all’idea di sistematizzare e condividere ciò che di interessante e valido abbiamo provato ed imparato.
L’esperienza maturata ci ha convinti dell’efficacia del metodo e della potenzialità sia psicodiagnostica che di comprensione della dinamica del campo bipersonale in cui si svolge la psicoterapia. Abbiamo trovato un dispositivo utile ad inquadrare alcuni elementi che “bloccano” il processo: individuata la situazione di blocco abbiamo iniziato, come farebbe una squadra di operai edili, un lavoro comune il cui scopo è quello di costruire insieme quegli strumenti necessari ad affrontare la situazione osservata.
Riteniamo che la Supervisione Esperienziale in Gruppo possa essere uno strumento valido in ogni tipo di modello teorico, non esclusivamente in un modello psicoanalitico, in quanto la parte della costruzione degli strumenti è specifica per ogni modello teorico ed ha un bagaglio proprio di specificità e tecniche.
La ricerca sulla formazione in Psicoterapia
Le ricerche più recenti mostrano che la formazione classica in psicoterapia non produce un cambiamento significativo negli outcame dei pazienti (Nyman, Nafzinger e Smith 2011) e che questi dipendono maggiormente da altri fattori e competenze del terapeuta. Il 93% delle supervisioni si è rivelata inadeguata e il 35% dannosa (Ellis et al., 2014). Il 70% dei terapeuti dopo la specializzazione afferma di non avere strumenti per costruire una solida alleanza terapeutica e non conosce tecniche specifiche per pazienti specifici (Orlinsky e Ronnestad 2005). In questo sudio meno del 47% dei terapeuti con alta formazione dichiara di sentirsi esperto della materia e di padroneggiare la metodologia.Non solo nel mondo della psicoterapia ma anche in altri campi gli studenti acquisiscono conoscenze teoriche ma nonabilità pratiche. Molti studi mostrano che la formazione nella scuola di medicina si traduce inmodeste abilità cliniche (Joorabchi e Devries 1996; Lypson et al., 2004; McGaghie e Kristopaitis, 2015; Cohen et al., 2013; Wilcox et al., 2014; Bell et al.,20 2009). Si è giunti alla conclusione che l’esperienza clinica durante la formazione non garantisce la competenza clinica (Kyser et al., 2014; Ericsson 2014).
L’età, il sesso, e l’esperienza ed il titolo raggiunto non sono correlati a miglioramenti nei pazienti (Chow et al., 2015), questa è la realtà che emerge da questa mole di studi. Allo stato attuale delle cose è stato individuato un solo fattore nelle mani del terapeuta correlato al migioramento del paziente: il tempo dedicato alla pratica di abilità cliniche specifiche (Chow et al., 2015).
La formazione in psicoterapia spesso si concentra principalmente sull’apprendimento teorico e non sull’acquisizione di abilità cliniche. Per affrontare questo problema, le scuole di medicina hanno sviluppato pratiche basate sulla simulazione. L’esercizio e la ripetizione di abilità specifiche ha portato a notevoli miglioramenti nella capacità di padroneggiare quelle skills che le impostazioni di insegnamento tradizionali non hanno permesso di sviluppare (McGaghie et al., 2014).
Queste sono le ragioni che hanno creato l’esigenza di introdurre una parte esperienziale al lavoro di Supervisione. Solo creando un “amibiente sicuro” in cui praticare “il modello” possiamo verificare quello che funziona e quello che non funziona e capire in che modo il gruppo può costruire “interventi ad hoc” e praticarli insieme. Questo si è rivelato utilissimo e più volte abbiamo registrato ricadute positive sui pazienti nel post Supervisione Esperienziale in Gruppo. Il tipo di lavoro però non è esente da difficoltà: Mettersi in gioco in gruppo ci espone individualmente ad una quota di angoscia che è non è gestibile da tutti ed inoltre porta alla luce i nostri aspetti superegoici più critici. Se questi due elementi non risultano troppo pervasivi e disturbanti, l’esperienza di questo tipo di lavoro in gruppo diventa un’avventura coinvolgente ed entusiasmante.
I Pilastri: Navighiamo costeggiando fino alle colonne
L’elemento che trasversalmente ad ogni Psicoterapia è considerato predittivo di un outcome positivo è l’Alleanza Terapeutica: questa può essere Conscia ed Inconscia. L’esclusiva Alleanza inconscia non è una condizione sufficiente a fare leva su un processo di profondo cambiamento. Cosa possiamo fare? Possiamo aiutarli, lavorando insieme, a comprendere qual è la ragione, una volta eliminate le difese, per cui sono davanti a noi in questo momento. Come lo facciamo? Poniamo una domanda diretta alla sua coscienza “Qual è il problema per cui mi chiede aiuto?” Sarebbe nuovamente riduttivo pensare che una persona vada in terapia sapendo con chiarezza perché è lì, probabilmente questa categoria di persone potrà trovare strade di cura diverse da un lavoro profondo e faticoso come quello della psicoterapia, ma la domanda in sé è uno strumento potente che serve ad avviare un meccanismo a cascata più profondo, di mobilitazione di difese ed angosce. Ora abbiamo un alleato che ci aiuta ad osservare il dispiegamento di tutte le difese e di come esse costituiscano lo stile della personalità di chi abbiamo davanti. Queste difese si muovono quinid attorno alla roccaforte messa in subbuglio da questa semplice, ma coinvolgente, domanda.
Così come questa domanda aiuta i pazienti aiuta anche noi terapeuti a mettere a fuoco le cose che spesso sono confuse a causa della complessità della mente umana.
Questo, dunque, è il Primo Pilastro. “Quale è la richiesta esplicita che il paziente porta in Psicoterapia?” qual è la ragione conscia per cui si trova davanti a noi. Questo ci aiuterà ad inquadrare la situazione e ad organizzare la comprensione dei suoi aspetti difensivi e della sua struttura di personalità, possiamo iniziare da questo punto un lavoro il cui scopo sarà quello di individuare quei meccanismi, quelle dinamiche relazionali, interferiscono con il suo miglioramento clinico e/o con l’approfondimento del processo di esplorazione psicodinamica che postula che l’approfondimento del processo produrrà come effetto collaterale il miglioramento delle capacità del paziente e del suo stato di salute . Per l’esperienza maturata in questi due anni di lavoro, il primo pilastro diventa spesso un punto in cui il gruppo spesso lavora intensamente e diventa prodromico alla parte esperienziale.
Il Secondo Pilastro è “Cosa vorrebbe ottenere da questo incontro il Terapeuta?” in qualche modo questa domanda è speculare alla richiesta fatta al paziente in terapia ed in questo caso la richiesta del terapeuta sarà permeata delle dinamiche della coppia terapeutica. Questa richiesta serve inoltre ad utilizzare l’Auto supervisione che il collega fa al proprio lavoro e a contestualizzarla al caso presentato. Ascoltare la sua necessità ci mette nella posizione favorevole di sapere “cosa” preparare per il collega, di cosa sente di avere bisogno. Una volta dato un elemento su cui può lavorare abbiamo il tempo di dedicarci al resto del gruppo, e fare un lavoro mentale spesso gratificante rispetto al processo gruppale.
Se adesso abbiamo chiarezza sul primo pilastro e sul secondo significa che ci siamo posizionati tra questi due pilastri. La “Psychoterapeutic Boat” è ben posizionata e possiamo con fiducia dirigerci al di là di queste colonne d’Ercole pronti ad affrontare con delle coordinate l’ignoto del mondo interno della persona e delle dinamiche che si creano tra paziente e terapeuta. In questo mare aperto, di cui abbiamo adesso qualche punto cardinale, possiamo iniziare ad utilizzare la nostra Reveriè e la Reverie del gruppo per passare dalla superficie alla profondità degli abissi.
I 2 pilastri dialogano: In un modo inconscio, gli aspetti non conosciuti dell’interazione Transfert/Controtransfert, si rispecchia in una maniera sorprendente il problema per cui il paziente chiede un lavoro di psicoterapia con la richiesta che il terapeuta fa al gruppo. Tra i motivi per i quali questi due elementi sono collegati è che se non ci fosse un punto in cui le nostre difese personali intervengono, la psicoterapia, una volta conosciuto l’impianto teorico che sostiene la nostra tecnica, sarebbe un cammino diritto e senza ostacoli, caratterizzato da un ciclo fluido e continuo.
Una semplificazione: a) Comunicazione del paziente b) Attesa Terapeuta fino all’insorgere della Resistenza c) Interpretazione dell’emozione/impulso che genera la resistenza d) Nuova comunicazione del paziente che può essere un insight o nuove difese o un aumento delle angosce e) Attesa della prossima resistenza f) Interpretazione della resistenza. Questo ciclo può ripetersi fino alla completa risoluzione conflittuale in cui gli aspetti intrapsichici sono risolti da un nuovo e più evoluto sistema difensivo e gli aspetti relazionali sono cambiati. Se questo accade nel transfert e nella vita resterà solo la parte della ricostruzione storica, di riconoscimento dei propri oggetti interni e di una chiara differenziazione tra soggetto, costituito dalle proprie identificazioni, dai propri oggetti interni e dalla relazione tra di loro e dall’altra parte dalla realtà percepita per quella che è senza una preponderanza di proiezioni e transfert all’esterno. Questo faciliterà la differenziazione tra mondo interno e mondo esterno permettendo di vivere la vita liberi dalle proprie proiezioni transferali ed avere un più profondo senso di sé e della propria storia. Un’identità integrata ed aperta alla realtà e alla vita.
La realtà della psicoterapia ahimè è diversa, non ha questa linearità, il nostro lavoro, fatto di relazioni e di immersione conscia ed inconscia nelle comunicazioni e nei vissuti dell’altro, crea turbolenze emozionali e psichiche nella coppia al lavoro. Queste turbolenze, nostro spauracchio, una volta tollerate scopriamo essere il nostro primo alleato, sono un pò come l’acchiappa colore per la lavatrice. Ciò che ci resta addosso, quello che riusciamo a vedere e quello che vediamo attraverso il lavoro di Supervisione/Intervisione Esperienziale è un materiale interessante che può aiutarci a capire quali elementi hanno ostacolato il nostro movimento, l’applicazione della tecnica del modello a cui ci riferiamo. Diventiamo temporaneamente un fazzoletto acchiappa colore sul quale possiamo poi vedere quali emozioni, impulsi, angosce e difese sono restate appicciate.
Partiamo quindi da questa potenzialità. Entriamo nella dinamica intrapsichica del terapeuta: nel momento in cui dobbiamo formulare una richiesta rispetto a quale sia il tipo di aiuto che vorremmo dal gruppo di lavoro iniziamo un primo lavoro di Auto supervisione del caso. Questo ha già una prima utilità, spesso mentre pensiamo “a cosa” ci spinge a pensare a questo paziente iniziamo ad elaborare delle idee e ci diamo delle risposte; secondariamente questa richiesta di posizione più attiva previene la creazione di un sistema difensivo di idealizzazione/svalutazione per il quale “consegniamo il caso” ad un esperto idealizzato che si occuperà di dare una lettura di esso ma ci impegniamo a comprendere il nostro bisogno rispetto al caso specifico. Questo è un cambiamento paradigmatico che sposta il vertice dall’offrire “la lettura corretta” a “quello che serve al collega per leggere la situazione”. Avere una lettura della “traduzione della seduta” può essere molto interessante ma non necessariamente connesso con l’elemento che impedisce al collega di mettere a fuoco l’elemento che ostruisce il processo e, cosa ancor più significativa, a trovare una strada per sbloccarlo.
Supervisore o Moderatore? questo essenzialmente è dipendente e relativo al grado di apprendimento del modello da parte dei moderatori. Il focus è il processo, la nostra dedizione è al processo. Quello che deve essere garantito è la rimozione di quegli elementi che possono impedire di passare attraverso i 2 pilastri. Se un gruppo è ben avviato si può pensare che sia sufficiente il ruolo del moderatore, il gruppo di lavoro è capace di autoregolarsi e dirigersi, ed il moderatore avrà il ruolo di intervenire qualora ci siano dispersioni
Il Transfert ed il Controtransfert Gruppale
Il materiale proposto dal collega produce nel gruppo una reazione transferale e controtransferale.
La fase Esperienziale
Individuata l’area tematica e il momento in cui si verifica in una seduta, il gruppo si organizza o in coppie, se online invece “in stanze virtuali separate” in cui si gioca ad essere a turno paziente e terapeuta. Il focus del lavoro resta ancorato alla risposta specifica che il terapeuta che presenta il caso sente più adeguata al contesto.
Un esempio clinico:
Individuata area tematica, riproponiamo la situazione stressante per il terapeuta che viene invitato a sperimentarsi proprio in quella dinamica specifica. Il tipo di lavoro a molteplici obiettivi, il primo è quello di mettere una situazione di difficoltà che abbia un livello di coinvolgimento medio/alto per il terapeuta così che, al di là delle strategie o interventi adottati, abbia la possibilità di transitare attraverso le turbolenze interpersonali ed intrapsichiche con maggiore tranquillità e potersi dedicare al processo e non dover seguire le proprie difese. In secondo luogo, questa fase che avviene dopo la raccolta delle Reveriè Gruppali, ha un terreno fecondo in cui si sono dispiegate tutte le associazioni, le risonanze del gruppo e le ipotesi interpretative che ora costituiscono una cassetta degli attrezzi costruita sul punto di lavoro specifico.
Ricostruzione/comprensione del processo e lavoro metacognitivo
La parte finale successiva alla simulata consiste nel lavoro cognitivo da parte di chi ha presentato di ciò che porta con sé dell’esperienza di questa supervisione. E’ possibile che siano aspetti tecnici, considerazioni su si sé o sensazioni.
Una delle finalità è quella di permettere di radicare l’esperienza emotiva attraverso il lavoro cognitivo e di verificare nuovamente se ci sono elementi “indigeriti” che tendono a riproporsi.
Defusing
Dopo aver dato spazio alla persona che ha presentato il materiale facciamo un giro di feedback tra i partecipanti per sapere come si sentono, come hanno vissuto l’esperienza appena fatta e come sono state integrate le informazioni per radicare più profondamente l’esperienza di apprendimento.